Rapporto annuale dell’ISTAT, pubblicato pochi giorni fa, traccia un’Italia che ha bisogno di risollevarsi, tra la “sovraistruzione” (!!!) e la crisi della famiglia moderna.
Dal rapporto ISTAT 2016 emerge che oltre un ragazzo su tre tra i 15 e i 34 anni è sovraistruito, ovvero troppo qualificato per il lavoro che svolge. La quota è 3 volte superiore a quella degli adulti (13%).
Inoltre ha un lavoro a termine un giovane su quattro e a tre anni dalla laurea solo il 53,2% dei laureati ha trovato un’occupazione ottimale, con un contratto standard, una durata medio-lunga e altamente qualificata.
Il 60,8% dei giovani non lavora
In aggiunta, il dato più allarmante è che solo 4 giovani su 10 lavorano, spesso entrando nel mercato del lavoro con professioni quali: commesso, cameriere, barista, addetto personale, cuoco, parrucchiere ed estetista. Anche quando sono in possesso di una laurea.
Il mondo del lavoro, quindi, squalifica la professionalità dei giovani laureati?
Oppure i giovani hanno studiato materie obsolete?
Non c’è ricambio generazionale
Una chiave di lettura è forse questa: i giovani non prendono il posto degli anziani quando questi ultimi vanno in pensione e l’amaro risultato è che in Italia le persone che vorrebbero lavorare ma che non hanno un impiego sono 6,5 milioni.
Il rapporto spiega inoltre che il tasso di mancata partecipazione (disoccupati e inattivi disponibili a lavorare) scende al 22,5% ma è ancora molto sopra il livello medio Ue (12,7%).
Genitori senza lavoro
In Italia 2,2 milioni di famiglie sono jobless, ovvero vivono senza redditi da lavoro.
Al centro-nord il 14,2% delle famiglie sono in questa condizione e nel Mezzogiorno si raggiunge addirittura il 24,5%, ovvero quasi un nucleo famigliare su quattro.
Il dato più preoccupante (ma coerente con quanto riportato ad inizio articolo) è che l’incremento ha riguardato soprattutto le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l’incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%.
Questo è il naturale preambolo al crollo ulteriore delle nascite: per il quinto anno consecutivo diminuisce la fecondità, solo 1,35 i figli per donna.